giovedì 3 Ottobre 2024
Home News Trent’anni fa Mani Pulite, l’inchiesta che affondò la Prima Repubblica

Trent’anni fa Mani Pulite, l’inchiesta che affondò la Prima Repubblica

0
Trent’anni fa Mani Pulite, l’inchiesta che affondò la Prima Repubblica

La data d’inizio dell’inchiesta è il 17 febbraio 1992. Quel giorno viene arrestato, per una tangente, il socialista Mario Chiesa. E’ l’inizio della slavina che portò alla fine del sistema dei partiti che aveva governato l’Italia a partire dal secondo dopoguerra. Bilancio di un’indagine che cambiò per sempre il nostro paese. 

 

Parte la slavina. Gli storici, ma anche i giornalisti, sono soliti fissare nel racconto degli eventi alcune date spartiacque e spesso hanno ragione a farlo: è sicuramente il caso del 17 febbraio 1992. Quel giorno viene arrestato Mario Chiesa, e da quel momento si mette in movimento la slavina che porterà all’inchiesta di Mani pulite che, a sua volta, consentirà di scoprire una corruzione estesa e costosissima, sia dal punto di vista materiale sia da quello dell’etica pubblica. Un sistema che passerà alla storia come Tangentopoli.

La slavina, partita da Milano, nel giro di alcuni mesi avrà effetti potentissimi: diversi leader di partito e i top manager di quasi tutte le più grandi imprese saranno chiamati a rispondere davanti ai procuratori della Repubblica. Sul piano politico, l’effetto risulterà simile a quello di una bomba atomica: un anno dopo l’arresto di Chiesa, sia pure per un concorso di cause, saranno scomparsi tutti i partiti della Prima Repubblica. E quanto alla magistratura sul breve vedrà accrescere la propria credibilità, anche se alcune delle forzature realizzate nel corso delle indagini – e replicate successivamente in altri contesti – finiranno per instillare nell’opinione pubblica quanto meno il dubbio attorno a una prerogativa essenziale per il potere giudiziario: la sua imparzialità.

Sette milioni di lire. Ma, ovviamente, Mani pulite resta una grande e importantissima vicenda politico-giudiziaria. Tutto ebbe inizio a metà febbraio del 1992: il giorno 17 la procura di Milano ordina l’arresto del presidente del Pio Albergo Trivulzio, il socialista Mario Chiesa. Era stato colto in flagrante mentre incassava una tangente di sette milioni di lire, pari a circa 3.600 euro attuali. L’indomani sui giornali l’evento non ebbe grande rilievo e, come negli anni precedenti, anche quella volta lo scandalo sarebbe potuto restare nell’ambito locale e invece alcune scintille accesero l’incendio che mandò in fumo la Prima Repubblica.

L’ombra del mariuolo. Due settimane dopo l’arresto, il segretario del Psi, Bettino Craxi, intervistato dal Tg3, definì Chiesa «un mariuolo che getta un’ombra su tutta l’immagine del partito». Oggi sappiamo che quelle parole non aiutarono Craxi, ma in quel momento come gli uscirono? Certo, pesava la memoria del passato: mai una singola indagine si era trasformata in un’inchiesta sul “sistema”, anche per il potere deterrente della politica – Psi e Dc in testa – che per decenni aveva condizionato le carriere dei magistrati.

Effetti elettorali. Nella leggerezza di Craxi pesò il disprezzo che il leader socialista nutriva per i “cacicchi” che si arricchivano in proprio, anziché contribuire alla “cassa comune”. Ma ovviamente per Chiesa quell’epiteto pesò. E iniziò a “parlare”. Eppure, l’indagine non avrebbe aperto le porte a Mani pulite senza il risultato delle elezioni politiche del 6 aprile 1992: la Dc era scesa per la prima volta sotto la soglia del 30 per cento, le forze di governo si erano fermate al 48,9 e la Lega – in quella fase unica e originale forza antisistema – era passata da 186.255 voti a 3.396.012.

Il potere cede. Il risultato incoraggia una magistratura sino ad allora assai timida: da quel momento la procura di Milano vive l’impresa di scovare la corruzione come una missione. Le casematte del potere cadono una dopo l’altra: i vertici della Dc (ala moderata), del Psi, dei partiti laici, del Pds (ma solo nella fase iniziale), quasi tutti i colossi dell’economia italiana, Fiat, Montedison, Eni, Enel, Olivetti, Fininvest. Nel paese, anche sulla spinta di una stampa che per anni aveva semplicemente contemplato la corruzione, si crea un clima giustizialista: un avviso di garanzia oramai equivale a una condanna. Ed è in questo contesto che maturano i suicidi dell’ex presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, di un imprenditore in ascesa come Raul Gardini e del deputato socialista Sergio Moroni.

La quantità e la qualità delle corruzioni evidenziate dalle inchieste si rivelano imponenti e dimostrano quanto pervasivo fosse diventato il sistema delle tangenti scoperto grazie all’impulso del pool di Milano e delle (poche) procure che si muoveranno nel resto del paese.

Eccessi investigativi. Certo, tra il 1992 e il 1994 faticano a trovare spazio le proteste degli imputati sugli eccessi investigativi, che sono stati messi a fuoco meglio soltanto successivamente. Anzitutto l’uso improprio della carcerazione preventiva, talora usata come mezzo per strappare confessioni e chiamate di correità. In un recente articolo – passato sotto silenzio – il magistrato Guido Salvini, che in quegli anni lavorava all’ufficio del Gip di Milano, ha svelato quello che egli stesso ha definito un trucco: «Il pool, a partire dall’arresto di Mario Chiesa, costituì un registro che riguardava centinaia e centinaia di indagati che nemmeno si conoscevano fra loro. Il numero con cui iscrivevano qualsiasi novità era sempre lo stesso, l’8655/92, quello del Pio Albergo Trivulzio, un fascicolo estensibile a piacere». In sostanza, per valutare le richieste di carcerazione e di scarcerazione era «comodo per la procura avere un unico Gip» e non doversi confrontare con la varietà di posizioni offerte dai venti magistrati dell’ufficio.

Bilancio consuntivo. Trent’anni dopo è possibile un consuntivo anche numerico: gli inquirenti di Mani pulite indagarono 4.520 persone, ottenendo 1.254 condanne, a fronte di un giro di tangenti che avrebbe raggiunto la cifra di 3.500 miliardi di lire. Un bilancio “politico” lo ha fatto, nel 2011, Francesco Saverio Borrelli che paradossalmente si scusò «per il disastro seguito a Mani pulite: non valeva la pena buttare all’aria il mondo precedente per cascare in quello attuale». Una delusione che alludeva a una missione purificatrice e rigenerante, attribuita alla magistratura da una parte del pool milanese. Ma volendo restare al perseguimento dei reati, Mani pulite lascia comunque un consuntivo imponente. E in ogni caso resta una pagina memorabile soprattutto per un motivo: ha consentito una presa di coscienza collettiva sul foraggiamento illegale della politica. Per cinquant’anni l’Italia era rimasta sulla frontiera Est-Ovest e questo aveva ingrossato le più imponenti macchine politiche dell’Occidente. Una “scusa” che aveva consentito di andare oltre ogni decenza.