Morto Andrea Gianfagna: una vita dalla parte del lavoro

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 Una vita trascorsa in Cgil, sempre dalla parte dei lavoratori. Si può sintetizzare così la vita di Andrea Gianfagna, storico esponente del più grande sindacato italiano, scomparso oggi all’età di 94 anni.

Dirigente sindacale appassionato di storia, Gianfagna era nato a Campobasso nel 1926. Cominciò a lavorare già nel 1945–46 in una cooperativa promossa dal CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale Antifascista. Da lì i primi incarichi per organizzare i braccianti e gli edili di Campobasso, la sua città natale. Nella Confederazione generale del Lavoro ci è rimasto tutto il resto della vita, militando per 74 anni in ruoli di varia natura e rilievo.

Una vita intera spesa per il sindacato, sempre dalla parte del lavoro e dei lavoratori, che servì con un esempio straordinario di abnegazione sociale, educazione politica e senso del dovere.

In recente libro (“Impegno e passione dalla parte del lavoro”, Ediesse 2018), ha ripercorso la sua storia e quella dell’organizzazione nella quale ha militato, analizzando in modo mai banale i grandi processi che hanno attraversato il nostro Paese negli ultimi settanta anni. Una testimonianza in cui la vita personale e dell’organizzazione si intrecciano strettamente.

Il codice genetico di Gianfagna era iscritto nella CGIL di Giuseppe Di Vittorio da cui desumeva tre linee di pensiero che caratterizzeranno la storia della CGIL nell’Italia democratica: quella della responsabilità nazionale e istituzionale, che trovò nella lunga segreteria di Luciano Lama, preparata dal prezioso lavoro di Agostino Novella, la sua più completa declinazione; quella dei diritti e del programma sulla cui base Trentin riuscirà a traghettare la CGIL fuori dalle macerie del secolo breve; e quella dell’ancoraggio costante alla condizione materiale dei lavoratori attraverso il salario, il contratto e la preparazione delle vertenze. «Un sindacalista vero – diceva spesso – deve sapere cos’è un contratto, una busta paga e come si organizzano le vertenze».

Come ricordano in molti, il suo impegno lo portò ad esporsi con la polizia dell’allora ministro dell’Interno Scelba, subendo arresti e processi. Prese in mano la segreteria della Camera del Lavoro di Campobasso, dal 1954 con il ruolo di Segretario generale, dove rimase fino al 1960. Un rapporto indissolubile quello con la sua terra, alla quale è rimasto sempre fortemente legato.

Fu successivamente chiamato a Roma nella segreteria nazionale della Filziat,  il sindacato degli alimentaristi e nel 1964 ne divenne Segretario aggiunto e successivamente, nel 1969, Segretario generale. Dalla Filziat, dove lavorò con Nella Marcellino che aveva il ruolo di vicesegretario, passò alla Federbraccianti nel 1980 guidando, come Segretario generale, l’organizzazione nel percorso di unificazione con la Filziat che portò alla nascita della Flai.

Portata a termine la delicata unificazione lasciò la segreteria generale nel 1986 per continuare la sua azione sindacale nella CGIL Nazionale seguendo il settore agroalimentare e i rapporti con la cooperazione. Entrò come capogruppo della delegazione CGIL nel Cnel e nel 2005 iniziò una lunga e intensa collaborazione con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio.A

Di questa esperienza, Gianfagna ne parla, intervistato da Carla Cantone, nel libro “I miei quaderni” (Edizioni Liberetà, 2017). La Cantone dice di Gianfagna: “Non è un sindacalista del passato. E’ quello che un sindacalista dovrebbe essere oggi: attento, colto, e con un grande senso del lavoro e della democrazia”.

Gianfagna è ricordato anche per essere stato uno degli artefici della sottoscrizione di contratti collettivi di lavoro che migliorarono le condizioni salariali e di vita di milioni di lavoratori italiani.

In una recente intervista, pungolato sulla attuale situazione del lavoro in Italia, disse: “L’elemento centrale è mantenere un rapporto costante con tutte le categorie dei lavoratori, non è possibile risolvere i problemi del lavoro, dell’occupazione, dei diritti solamente con la salvezza individuale.

Questo è quello che vogliono i padroni, a cui bisogna opporre la più larga unità del fronte sindacale”. Ancora: “Oggi, c’è chi vorrebbe porre in alternativa il salario e i diritti, ma non vi è avanzamento senza un contemporaneo miglioramento di entrambe le cose”.