Il 15 dicembre, pensionati in piazza contro una manovra “cinica”

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La legge di bilancio, che il governo vuole senza emendamenti, non tiene conto delle condizioni di difficoltà in cui versano milioni di persone. La narrazione che ne viene fatta è ricca di retorica e propaganda, ma la realtà, certificata anche da Istat ed Eurostat, vede in crescita disuguaglianze e povertà. Non ci sono misure in favore dei giovani e delle donne, né del lavoro né delle pensioni. 

di Tania Scacchetti, segretaria nazionale Spi Cgil 

Il paese reale. Basterebbe osservare le condizioni reali del nostro paese per smontare la propaganda e la retorica che condiscono la narrazione delle scelte del governo contenute nella legge di bilancio per il 2024: chi definisce questa una manovra sociale forse non si rende conto di come stanno realmente gli italiani. Eurostat e Istat lo raccontano bene nei loro recenti rapporti. L’Istat certifica che 2,18 milioni di famiglie vivono in povertà assoluta, un dato drammaticamente in crescita che corrisponde a circa 5,6 milioni di individui. Continuano ad aumentare i prezzi ma non i salari, aumentano le disuguaglianze, soffrono di più le famiglie numerose, di stranieri, monoreddito, ma allo stesso tempo aumentano anche il rischio solitudine e la fragilità degli anziani.

Eurostat, nell’indagine sulle condizioni di vita delle famiglie europee, indica chiaramente come l’Italia si collochi al di sotto della media dell’Unione europea. E lo dimostra prendendo a riferimento alcuni indicatori strutturali:

• il reddito e le diseguaglianze (da cui dipendono il rischio di povertà o di esclusione sociale, le condizioni di deprivazioni materiali e sociali, gli squilibri economici);

• l’intensità di lavoro e la composizione dei nuclei familiari (presenza di bambini, nuclei con bassa intensità di lavoro e rischi di povertà lavorativa sono tutti elementi collegati);

• disabilità e condizioni di salute (con particolare riferimento all’autopercezione della salute, le aspettative di vita, le limitazioni ad attività che danno soddisfazioni di vita, che sono indicatori di crescente importanza).

Il 62 per cento delle famiglie dichiara difficoltà a scaldare la propria abitazione, milioni di persone rinunciano a curarsi, la sanità dimentica i fragili. La legge di bilancio su questi capitoli fa davvero poco. Un involucro vuoto. Nulla sul finanziamento per la non autosufficienza, una spesa sanitaria che spinge spudoratamente verso i privati invece di garantire la risposta pubblica e universale.

Le facili promesse. Non va meglio per il capitolo pensioni, dove è evidente che fare le promesse è facile quando si è all’opposizione, ma poi mantenerle è tutta un’altra cosa. Non c’è la tanto sbandierata cancellazione della legge Fornero, anzi siamo di fronte per certi versi al peggioramento di alcune misure già esistenti come l’Ape sociale e quota 103 cui già pochissime persone avevano avuto accesso. Le donne continuano a essere colpite e, nei fatti, anche opzione donna, che già l’anno scorso era diventata una possibilità destinata a specifiche categorie di persone, pur essendo penalizzante dal punto di vista economico, peggiora il requisito di accesso.

Niente per i giovani. Infatti, mentre si stabiliscono correttivi alle soglie di accesso al sistema contributivo, non si introduce una pensione di garanzia, rischiando così paradossalmente di rendere la vita più difficile proprio a coloro i quali fanno lavori discontinui, precari e meno qualificati, e che peraltro avranno un’aspettativa di vita peggiore. Evidentemente non contenta e spinta dalla necessità ancora una volta di fare cassa, la destra al governo non cerca risorse nell’evasione ed elusione fiscale ma colpisce anche parte delle future pensioni dei dipendenti pubblici attraverso la revisione delle aliquote di rendimento per le quote retributive per anzianità inferiori a quindici anni.

Niente per i pensionati. Anche per i pensionati e le pensionate non ci sono buone notizie. Anzi, se misuriamo gli interventi con le rivendicazioni della piattaforma unitaria predisposta da Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp Uil siamo di fronte al nulla. E il nulla diventa una precisa scelta politica, che va contrastata rispetto a un’inflazione che ancora pesa sui redditi più deboli, di fronte alla crescita della povertà, di fronte all’aumento delle disuguaglianze che premiano rendite e profitti a danno dei redditi da lavoro e da pensione. Nel cosiddetto decreto anticipi, anche forse per non far notare che nessuna delle richieste unitarie dei pensionati troverà accoglimento nella legge di bilancio, viene previsto l’anticipo del conguaglio di perequazione che di norma viene erogato con la mensilità del mese di gennaio.

Attenti alla propaganda. Ma anche qui occorre stare attenti alla propaganda. Queste somme non costituiscono un regalo ma sono dovute per coprire il differenziale fra la percentuale provvisoria di inflazione applicata del 7,3 per cento e quella definitiva calcolata dall’Istat per il 2023 dell’8,1 per cento. Dovrebbe essere superfluo ricordare che la rivalutazione è l’unico strumento che i pensionati hanno per compensare in parte e in ritardo l’aumento del costo della vita e ricordare anche che nemmeno la piena indicizzazione è in grado di pareggiare i rincari e la riduzione delle coperture pubbliche per le prestazioni sanitarie, con il conseguente drammatico fenomeno della rinuncia alle cure di una parte rilevante della popolazione.

Richieste inascoltate. Inoltre, non vi è alcuna traccia delle richieste unitarie dei pensionati: ripristino del meccanismo di rivalutazione previsto dalla legge 388/2000 e superamento di quello previsto per il 2023 e il 2024 per blocchi fino alla piena indicizzazione; adeguamento delle somme aggiuntive, la cosiddetta quattordicesima, e ampliamento della platea alla quale può essere riconosciuta; intervento sul fiscal drag; superamento del divario di tassazione che grava sui pensionati. Anzi, bisogna fare attenzione a una norma che indica la volontà di affidare al Cnel la revisione del meccanismo di rivalutazione a partire dal 2027, peggiorando quello attuale.

Mobilitazione inevitabile. Sulla rivalutazione delle pensioni o, meglio, sulla loro mancata rivalutazione piena si trascinano effetti cumulativi che determineranno un risparmio per lo Stato di oltre dieci miliardi nel triennio. Ancora una volta si fa cassa sulle pensioni e ciò avviene in un paese con una quota consistente del Pil sottratta allo Stato da evasione ed elusione fiscale, che rinuncia ad aggredire rendite e profitti, che impoverisce il welfare, promettendo maggiore benessere attraverso la continua spinta alla privatizzazione. E ancora una volta la nostra risposta dovrà essere e sarà la mobilitazione.