Ecco come stiamo sconfiggendo i casalesi

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Parla Gianni Allucci, amministratore delegato di Agrorinasce, la società consortile che dal 1998 gestisce i beni nei territori storici del clan criminale. “La battaglia non è vinta del tutto, ma abbiamo dimostrato che la criminalità organizzata si può battere anche sul piano economico”.

“Le rivoluzioni che non ti aspetti in terra di mafie”. È eloquente il motto del corso di formazione che a partire da oggi e per tre giorni si terrà alla Reggia di Carditello, nell’ambito della Summer school organizzata ogni anno dalla Scuola di giornalismo investigativo Ucsi. Tema principe di questa edizione è l’esperienza sul campo di Agrorinasce, la società consortile che dal 1998 gestisce i beni confiscati al clan dei casalesi in Terra di lavoro, cuore di quello che fu una volta l’impero militare ed economico di una delle più potenti organizzazioni criminali di tutti i tempi.

Dai circa 200 beni che Agrorinasce ha gestito in questi 25 anni sono nati centri sportivi, isole ecologiche, centri polifunzionali per l’assistenza ai disabili (famoso quello dedicato a Casal di Principe ai bambini affetti da autismo e alle loro famiglie), mediateche, ludoteche per bambini e adolescenti, progetti per l’avviamento al lavoro, centri sociali, cioccolaterie, ristoranti che offrono prodotti della filiera biologica.

Oggi sono 148 i beni nella disponibilità della società. L’affidamento della Balzana a Santa Maria La Fossa, un complesso agricolo di 200 ettari, 10 ville bifamiliari, una cappella, una piccola scuola e circa 14 immobili produttivi, finite negli anni Ottanta nella mani del clan, rappresenta forse la sfida più impegnativa tra quelle affrontate finora dalla società consortile. L’obiettivo è creare occupazione sana in un territorio in cui le infiltrazioni criminali nell’economia sono ancora presenti.

Gianni Allucci, economista e amministratore delegato della società, è stato una dei registi di questo esperimento che oggi compie 25 anni.  “La battaglia non è ancora vinta del tutto – spiega – ma abbiamo dimostrato che la camorra si può battere anche sul piano economico. Questo rimane un territorio difficile, ma la situazione è molto cambiata”.

Partiamo dall’inizio. Come è nata quella che voi definite una vera e propria rivoluzione?
“Noi siamo partiti da una situazione al contempo ambientale, sociale e anche criminale molto difficile. Negli anni Novanta, dopo le stragi di mafia, l’omicidio don Peppe Diana e il varo della legge sull’utilizzo sociale dei beni comuni, era necessario avviare un processo di ricostruzione del territorio, devastato da anni di dominio criminale. Tra le realtà mafiose più emblematiche di quel periodo c’era sicuramente Casal di Principe e la provincia di Caserta. Aprimmo un dialogo importante con il ministero dell’Interno e il ministero del Bilancio e della programmazione economica. Stavamo già dimostrando sul campo che la camorra non si sconfigge solo con la repressione, ma anche con iniziative di prevenzione, con la creazione di lavoro, la riduzione della dispersione scolastica, con l’incremento di infrastrutture sociali. Già all’epoca si capì che i comuni non erano in grado di avviare da soli progetti efficaci di recupero dei beni confiscati. Tre dei quattro comuni che aderirono inizialmente al progetto erano commissariati per infiltrazione mafiosa. Così nacque, di intesa con la prefettura, il consorzio di comuni che porta il nome di Agrorinasce. Il nostro fu l’unico progetto che andava in questa direzione ad essere finanziato e la prima esperienza europea di rafforzamento della legalità in un’area ad alta densità criminale. La maggior parte delle risorse veniva ancora stanziato per la sola repressione. Noi pensavamo accanto alla necessaria azione di contrasto, il recupero dei beni sottratti alla criminalità doveva e poteva essere un’occasione di crescita civile, sociale ed economica per il territorio”.

In quale contesto vi muoveste allora e come è cambiata la situazione oggi?  
“Allora il territorio era dominato da logiche criminali, dove nessun comune aveva un piano regolatore, dove mancavano servizi elementari come palestre e scuole, con il disastro ambientale provocato dagli sversamenti illegali e dall’economia sommersa. Oggi la situazione è ovviamente difficile, ma molto diversa. Le amministrazioni stanno lavorando benissimo sui beni confiscati, ci sono progettualità, una società civile che finalmente può esprimersi senza condizionamenti. Per questo, parliamo di “rivoluzione che non ti aspetti”. Venticinque anni fa partimmo in un clima di scetticismo diffuso, si conosceva la capacità di penetrazione nel tessuto sociale ed economico dei clan, eppure questa esperienza va avanti e ha portato i suoi risultati”.

Attualmente sono cinque i comuni che fanno parte della società consortile, a cui si è aggiunta la Regione Campania. Da Agrorinasce è uscito il comune di Casal di Principe. Perché?
“È stata una scelta autonoma dell’amministrazione. Al comune abbiamo restituito tutti i beni che avevamo in gestione, tutti funzionanti. Rispettiamo questa decisione, ma non la condividiamo. Queste opere, questi progetti, queste attività su un territorio così delicato, per funzionare hanno bisogno di un’azione continua, di relazioni istituzionali, che un comune soggetto a periodici cambiamenti, da solo fa fatica a mantenere. Basta guardare alla situazione dei beni confiscati nel napoletano: a Giugliano, a Melito, a Torre Annunziata si fa fatica a recuperare i beni, che in molti casi rimangono inutilizzati. Una situazione non dissimile da quella che trovammo venticinque anni fa qui a Caserta”.

Come giudicare l’ingresso della Regione in Agrorinasce?
“È sicuramente un rafforzamento istituzionale in vista del recupero della Balzana, la più grande proprietà confiscata alla camorra e per dare una visione più generale al lavoro che conduciamo da anni unitamente all’azione di repressione delle forze di polizia e della magistratura. La rinascita di questo territorio si spiega anche grazie alla collaborazione di tutte le istituzioni per un fine comune”.

Oggi la camorra spara poco, ma le infiltrazioni nel tessuto economico continuano. Come debellare la presenza ingombrante della criminalità organizzata?
“Lavorando ogni giorno con continuità, facendo capire alle persone che scegliere la collusione non conviene, convincendole che solo con la legalità e il rispetto delle regole democratiche c’è progresso per tutti. La repressione è importante ma da sola non basta per costruire quelle barriere necessarie a prevenire corruzione e criminalità. Nel caso dei beni confiscati, abbiamo dimostrato che lo Stato non è solo in grado di confiscare i beni ma anche di saperli utilizzare nell’interesse della comunità. E questo ha un effetto molto importante sulle persone”.

Un esempio?
“Nel territorio di Santa Maria La Fossa abbiamo costruito una centrale a biogas che è un modello per il territorio. La centrale ha permesso a venti imprese di allevamento di consorziarsi, creando non solo occupazione ma anche energia pulita per le aziende e i cittadini. Questa filiera spezza il tradizionale legame tra economia sommersa,  sfruttamento della manodopera e inquinamento ambientale che ha caratterizzato a lungo questo territorio. Ora con la Balzana la sfida è creare occupazione con la nascita di polo agroalimentare capace di offrire al territorio una filiera pulita, al riparo dalle infiltrazioni criminali”.