venerdì 26 Aprile 2024
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Da bambini andavamo in colonia

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Da bambini andavamo in colonia

di Giuseppe Sircana

Ancora fino agli anni Sessanta per molti bambini rappresentava l’unico modo per godere di una vacanza al mare o in montagna. A organizzarle, non erano soltanto le grandi aziende e gli enti pubblici, ma anche le associazioni di assistenza e i patronati. Tra questi c’era l’Inca Cgil. Si trattava di un’occasione per fare nuove esperienze. E spesso, dopo il periodo trascorso lontano da casa, per molti ragazzi era difficile separarsi dagli amici conosciuti durante quei giorni spensierati.

Ottimamente conservata, la torre Fiat fa bella mostra di sé sulla spiaggia di Marina di Massa. Opera dell’architetto Vittorio Bonadè Bottino – lo stesso di Mirafiori e delle “torri gemelle” di Sestriere e Sauze d’Oulx – ospitava le colonie per i figli dei dipendenti della più famosa azienda italiana. Di altri edifici, dove un tempo risuonavano i canti e le grida gioiose dei bambini in vacanza, restano invece ruderi, abbandonati qui e là a ridosso dei litorali.
L’origine delle colonie estive risale alla seconda metà dell’Ottocento quando – per iniziativa di enti filantropici – iniziarono a sorgere gli “ospizi marini”. Erano destinati ai bambini affetti da gravi patologie, come la scrofola, dovute a carenze igienico-sanitarie. Alcune di queste strutture restavano aperte anche d’inverno per sfruttare appieno i benefici della talassoterapia. Con il progressivo miglioramento delle condizioni di salute della popolazione infantile cambiò la ragione sociale delle colonie, in forte espansione da quando divennero essenzialmente luoghi di svago e divertimento.

Un po’ di aria buona. Ancora negli anni Sessanta per molti bambini e ragazzi andare in colonia rappresentava l’unico modo di godersi le vacanze. Oltre che da enti pubblici e grandi aziende, le colonie erano promosse da patronati, associazioni di assistenza confessionali e laiche. L’Inca Cgil si prendeva cura dei figli dei lavoratori, regalando loro un periodo di serena e ricostituente vacanza al mare, in montagna o dove comunque c’era “l’aria buona”. Da un dettagliato programma – predisposto per l’estate del 1951 dall’Inca di Roma – apprendiamo che le colonie, organizzate in turni di trenta giorni, erano di due tipi: quelle con pernottamento e quelle che si svolgevano nell’arco di una giornata nelle campagne intorno alla capitale.

Vitto, alloggio e assistenza. Oltre all’alloggio veniva garantita «un’alimentazione abbondante e una perfetta assistenza igienico-sanitaria», in quanto si riteneva che “l’azione climatica” non avrebbe avuto effetto se il bimbo non fosse stato sufficientemente nutrito. Il menù giornaliero, definito in base a specifiche tabelle dietetiche, prevedeva colazione, pranzo, merenda e cena. La colazione del mattino era a base di latte, caffè, cioccolato e pane. A pranzo venivano serviti pastasciutta (quattro volte la settimana), pesce o carne o uova o formaggio con contorno di verdura e frutta. Per merenda poteva esserci, alternativamente, frutta, marmellata, formaggio o cioccolato. Infine, la cena: dopo la minestra, un secondo piatto a base di legumi, uova o formaggio, crema o frutta.

Le attività sociali ed educative. Molta importanza era attribuita anche alle attività “sociali ed educative” affidate a personale specializzato. Per istruire dirigenti e assistenti delle colonie venivano organizzati appositi corsi di formazione con un corpo insegnante di riconosciuta competenza. Tra i docenti troviamo, infatti, Adriano Ossicini, Marisa Rodano, Dina Bertone Iovine e Laura Lombardo Radice, quest’ultima chiamata a occuparsi dell’“educazione democratica del fanciullo”. L’impostazione dei corsi risentiva inevitabilmente dello scontro ideologico aperto nell’Italia di allora. Si pensava che anche il soggiorno in colonia potesse rappresentare un’occasione per formare nuove generazioni di militanti: «L’assistenza nelle colonie Inca mira a educare i ragazzi ad avere fiducia in se stessi: ad avere rapporti con la collettività ispirati all’emulazione e all’autogoverno; a educarli all’amore verso i lavoratori e la pace e all’avversione verso l’ingiustizia, la guerra Questi sono i princìpi che orienteranno l’azione dei dirigenti e degli assistenti rispetto alla personalità del ragazzo. Essi, infatti, si porranno dal punto di vista del ragazzo, ne comprenderanno le esigenze, lo abitueranno a organizzarsi e a esprimersi nei cori, nei balletti, nei gruppi di recita».