martedì 23 Aprile 2024
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Cosa vuol dire la parola “Repubblica”

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Cosa vuol dire la parola “Repubblica”

È stata la forma di governo storicamente opposta alla monarchia. Dall’Antica Roma alla Resistenza, in una repubblica i tiranni e gli uomini soli al comando non sono i benvenuti. Il 2 giugno del 1946, gli italiani scelsero la repubblica, mettendosi alle spalle secoli di regime monarchico.

di Paolo Fallai

Una storia antica. Repubblica deriva dalla locuzione latina re(m) publica(m), cioè “cosa pubblica”. Descrive una «forma di governo in cui i detentori del potere politico sono eletti liberamente con un mandato temporaneo non ereditabile» (Treccani). Il dizionario di Tullio De Mauro la attesta in italiano dal 1437. La sua storia è complessa e molto più antica. Intanto soffermiamoci sul significato: diventa immediatamente chiaro se prendiamo in considerazione il suo contrario. La repubblica è la forma di governo costituzionalmente contrapposta alla monarchia. Quest’ultima ci arriva dal greco monarkhía, composto di mónos (solo) e di árkho (comando). Ecco, in una repubblica non è mai uno solo a comandare.

Difficile applicare il concetto moderno di repubblica ai governi dell’antichità. Anche quando parliamo di democrazia ateniese questa ha poco a che fare con la democrazia che conosciamo. Quando si parla di repubblica nella Roma antica, si identifica l’ordinamento statale del periodo compreso tra la fine della monarchia e l’inizio dell’impero (509-31 a.C.), in cui a capo dello Stato vi erano due consoli eletti per un anno. Per estensione ha finito per indicare ciascuno degli ordinamenti analoghi in età classica o comunque le situazioni nelle quali il potere non era nelle mani di un monarca. E comunque fino al Medioevo repubblica è stata usata semplicemente come sinonimo di Stato.

La numerazione. Soltanto con la rivoluzione francese, la repubblica comincia a diffondersi molto lentamente. Nel 1815 in Europa solo nella Confederazione svizzera e a San Marino erano in vigore ordinamenti repubblicani. E diventa rivoluzionario un esperimento luminoso, breve e sfortunato come la Repubblica romana del 1849.

Con l’avvento recente della repubblica come ordinamento diffuso si è cominciato a identificare con gli aggettivi prima, seconda, terza le varie fasi di governo di una Repubblica. È la Francia ad avere adottato questo criterio per identificare precise fasi della propria storia: così la prima Repubblica corrisponde alle istituzioni nate con la rivoluzione del 1792 e fino al 1804; la seconda Repubblica tra il 1848 e il 1851. La terza Repubblica, dopo la guerra con la Prussia del 1871 e fino al 1940. La quarta Repubblica dal 1946 al 1958. Infine, la quinta, dal 1958, anno dell’elezione di Charles de Gaulle alla presidenza, fino a oggi.

Anche in Italia nel linguaggio giornalistico si tende a identificare la prima Repubblica come il periodo politico che va dal secondo dopoguerra fino al 1994, per sottolineare la nascita di nuove formazioni politiche, la fine dei partiti tradizionali e l’introduzione di nuove leggi elettorali improntate al maggioritario. Ma è una definizione che non ha alcun riscontro nei documenti ufficiali.

Certo, esistono e sono esistite nella storia monarchie più o meno aperte e disponibili alla collaborazione con i Parlamenti elettivi. È il caso delle monarchie parlamentari o costituzionali, come quella italiana che fin dalla nascita dello Stato unitario ha vissuto con Parlamenti eletti (composti sempre soltanto da uomini). Le degenerazioni autoritarie sono sfociate nella tirannide.

Figlia della Resistenza. Festeggiamo il 2 giugno perché quel giorno nel 1946 12,7 milioni di italiani e italiane scelsero la repubblica contro i 10,7 che avevano messo una croce sulla monarchia. La repubblica vinse con due milioni di voti di scarto, non proprio pochi, ma naturalmente chi aveva perso gridò alla frode e presentò ricorso per rifare le elezioni. C’è voluta la legge 260 del 27 maggio 1949, per indicare il 2 giugno come festa nazionale, in un elenco che comprende anche il 25 aprile, data della Liberazione, che per decenni è stata vissuta e celebrata come la vera festa degli italiani.

C’è stata una lunga stagione, iniziata nel 1977, in cui le celebrazioni del 2 giugno vennero spostate alla prima domenica del mese, a causa dell’austerity economica. Nell’Italia attanagliata da una delle sue cicliche crisi si cercava di ridurre le festività per dare maggiore impulso alla produzione, anche a costo di sacrificare quella che è forse la data più importante del nostro calendario civile, la nascita della Repubblica, che è figlia della Resistenza al pari, come scrisse il giurista Piero Calamandrei, della nostra Carta costituzionale. È stato il presidente Carlo Azeglio Ciampi nel 2000 a ripristinare la parata militare e a riportare il 2 giugno al centro del calendario pubblico.

Nella nostra visione moderna, repubblica si contrappone a ogni limitazione della libertà. Tanto da essersi guadagnata il significato figurato di «luogo in cui tutti comandano e nessuno ubbidisce». Insomma, dove c’è confusione e scarseggia la disciplina. In ogni dizionario che consulterete troverete come esempio frasi del tipo «in quell’ufficio è repubblica, tutti fanno il comodo loro», «questa casa è una repubblica». Lasciando intendere quanto sarebbe necessaria una vera autorità per riportare un po’ d’ordine. Forse sarebbe il caso di segnalare nelle prossime edizioni dei dizionari, la parola repubblica come espressione di giubilo: «Sì, qui è proprio repubblica!». Nel senso che arroganti e tiranni non sono benvenuti e non contano nulla. E si respira, finalmente una bella aria di libertà.La