In anni neanche tanto lontani la tradizione della befana ha avuto una dimensione pubblica non meno importante di quella vissuta nell’intimità della famiglia. Dopo l’eccitante scoperta dei regali lasciati nella notte dalla generosa vecchietta, un altro momento di gioia attendeva i bambini più fortunati: il ritiro dei doni elargiti da vari enti e aziende ai figli dei dipendenti. La mattina del 6 gennaio era poi ravvivata dalle chiassose carovane pubblicitarie, che attraversavano la città per consegnare gli omaggi della ditta alle varie postazioni dei vigili urbani. Oltre che dei bambini, la befana era infatti la festa dei “pizzardoni” romani, dei “ghisa” milanesi e dei loro colleghi delle altre città italiane.
La befana di regime. Una certa rilevanza sociale la giornata «che tutte le feste porta via» cominciò ad averla agli inizi del Novecento, quando tra alcune categorie commerciali e professionali si diffuse la consuetudine di raccogliere doni in natura e denaro per le famiglie più povere. Si trattava di atti di generosità spontanea, diffusi soprattutto nelle zone più sviluppate del paese, sui quali a un certo punto il fascismo decise di mettere il cappello, ovvero il fez. Ritenuta una festa tipicamente italiana, in contrapposizione alle usanze natalizie di importazione, l’Epifania venne trasformata negli anni Venti in una giornata di propaganda del regime.