Le parole “magiche” e le questioni irrisolte del Pnrr

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Il linguaggio usato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza tradisce un cieco affidamento al mercato e sembra non tener conto dei valori, dei principi, delle speranze di riscatto scritte nella Costituzione. Quasi che le forze di mercato possano da sole risolvere tutti i problemi. Intervista al costituzionalista Antonio Cantaro.  

“Pnrr” sarà per l’Italia la parola dell’anno, probabilmente assieme alla parola “guerra”. Che paese avremo una volta dispiegati i “princìpi” della ripartenza e della resilienza?

Pnrr è stata certamente una delle parole chiave dell’anno appena trascorso. Lo sarà ancora in futuro? Nutro qualche dubbio. Il quadro generale si sta profondamente deteriorando, sia a livello interno che internazionale. Le “formule magiche” di cui è infarcito il Piano, a partire dalle cosiddette transizioni gemelle (quella ecologico-energetica e quella digitale), sono state ‘coniate’ per un’altra fase, auspicando un “nuovo miracolo economico” piuttosto che un profondo mutamento del modello di sviluppo. Siamo già pagando caro il mix tra retorica tecnopopulista e il keynesismo finanziario di cui la sregolata politica dei mille bonus è, per tanti versi, un simbolo.

Nel suo libro analizza le parole del Pnrr, fondamentali per comprendere i valori di un provvedimento attraverso il quale transiteranno oltre duecento miliardi di euro. Quali sono quelle più usate e quelle più trascurate?

Il Pnrr è un documento ‘programmaticamente’ de-costituzionalizzato. La parola Costituzione non vi ricorre una volta. Stessa sorte per sindacato, contrattazione, concertazione. Uguaglianza una sola volta, riferita al genere. Giustizia sociale due volte, associata ai “benefici” dell’apertura concorrenziale dei mercati. Solidarietà due, una volta intesa come solidarietà comunale, un’altra come solidarietà intergenerazionale. Equità economica e sociale cinque volte, anche in questo caso associate ai “benefici” della concorrenza. La parola progresso ricorre solo associata all’aggettivo tecnologico. Ben altra accoglienza è riservata alle parole concorrenza, competitività, produttività (circa 200). Alle parole impresa e imprese (oltre 180), modernizzazione (14) e ammodernamento (10). E non inganni la diffusa ricorrenza delle parole coesione e lavoratori (circa 100), evocati nella declinazione aziendalistica di capitale umano. Siamo fuori dalla lente con la quale la Costituzione legge i conflitti sociali, la condizione dei lavoratori, le domande di libertà e emancipazione dei cittadini.

Sin dalle prime pagine del suo lavoro lei avverte il rischio che la modernizzazione del paese, che il Pnrr dovrebbe favorire, potrebbe non coincidere con la sua civilizzazione: per quali motivi?

Modernizzazione non equivale ‘meccanicamente’ a civilizzazione, a incivilimento del Paese. Quanti e quali tipi di treni correranno al Sud nel 2026 e quale indotto economico, sociale, occupazionale, ne deriverà? Quanti bambini in più andranno all’asilo nido e di quali classi sociali e territori? Come verrà colmato il ritardo digitale in termini di infrastrutture, quello legato alla conoscenza delle tecniche da parte di cittadini e istituzioni? Soprattutto in considerazione del fatto che, nel settore strategico della comunicazione, le imprese sono usualmente poco interessate a contrastare il ritardo culturale della popolazione nell’uso delle tecnologie. Su questi versanti, e tanti altri, il PNRR è reticente, malgrado le migliaia di pagine che lo compongono. Possiamo confidare semplicemente nel fatto di essere nelle “mani giuste”? Soprattutto quando, come ha ripetutamente ricordato Laura Pennacchi – il ‘timoniere’ richiama le virtù del miracolo economico senza far tesoro delle profetiche e ancora attualissime critiche a uno sviluppo solo quantitativo indicate a suo tempo (1962) da Ugo La Malfa nella nota aggiuntiva al Bilancio per indicare la necessità di aprire una nuova stagione politica. Una programmazione veicolata e orientata da consumi pubblici e beni collettivi quali, in primo luogo, sanità e istruzione.

Rapporto tra governanti e governati, così come emerge tra le pieghe del Pnrr. Perché su questo versante il documento non la convince?

Il governo è esercizio di una funzione, è il potere e il dovere di prendersi cura dei governati. La pandemia ha aggravato un deficit di democrazia già presente nelle nostre società neoliberali. Gli apostoli fondamentalisti del Pnrr parlano tanto di governance e pochissimo della connessione emotiva tra governanti e governati, senza la quale non c’è politica nel senso autentico della parola. Ritengono che si possa fare a meno della grammatica dei beni comuni, dei valori e delle speranze di riscatto scritte a grandi lettere nella nostra legge fondamentale. Presuppongono che l’implementazione amministrativa degli interventi finanziati e l’attivismo delle forze di mercato produrranno, autonomamente, uno strutturale aumento della produttività, dell’occupazione, del benessere. Ma in assenza di una visione del mondo, di un disegno condiviso di politica industriale, urbanistica, energetica, le diseguaglianze sociali e le asimmetrie, oggi ulteriormente alimentate dall’inflazione, sono destinate a crescere. Spetta al sindacato, al mondo del terzo settore e della cooperazione, della partecipazione, della cittadinanza attiva, della cura lanciare la sfida di una civilizzazione del Pnrr che coniughi armonicamente crescita e progresso, quantità e qualità. Con il Pnrr, oltre, molto oltre, il Pnrr. È quello che nel mio lessico io chiamo costituzionalismo dei governati. Un costituzionalismo al servizio della giustizia sociale e della verità, quale che sia il significato che ciascuno di noi attribuisce a queste impegnative parole che rendono degna di essere vissuta la nostra esistenza collettiva. Affinché il domani non prescinda dall’umano, qualcosa di ben più catastrofico di una pandemia, come lascia purtroppo presagire in queste ore il pericoloso scivolamento verso un conflitto bellico su larga scala. Una sorta di secondo tempo della Pandemia.

Chi è: Antonio Cantaro è professore ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Ha insegnato e insegna presso altri Atenei e Scuole di specializzazione italiane ed europee. Ha diretto e presieduto a lungo il Centro di iniziative e studi per la Riforma dello Stato (CRS).
È autore di numerosi scritti e saggi monografici (alcuni dei quali tradotti e pubblicati in Spagna e in Germania) tra i quali La modernizzazione neoliberista (Franco Angeli, 1990); Europa sovrana (Dedalo, 2003); Il secolo lungo (Ediesse, 2006), Il diritto dimenticato (Giappichelli, 2007), Economia e diritto nello spazio europeo (Cisalpino, 2018). Nel suo ultimo libro Postpandemia. Pensieri affronta il tema di questa intervista.