venerdì 26 Aprile 2024
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Rsa: Torino, Alessandria e le cifre che non tornano dal Piemonte

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Rsa: Torino, Alessandria e le cifre che non tornano dal Piemonte

Mentre ad Alessandria un pool di magistrati indaga sulle troppe morti sospette nelle case di riposo e a Torino esplodono nuovi casi ogni giorno (ultimo in ordine di tempo quello della Rsa Carlo Alberto), l’autentico balletto delle cifre che è andato in scena alla fine della settimana scorsa sul numero dei decessi nelle Rsa, sta lì a testimoniare che in Piemonte la situazione nelle strutture residenziali per anziani è tutt’altro che sotto controllo.

Sotto accusa finisce un rapporto della Regione che riassumeva l’andamento dei decessi totali nei primi tre mesi dell’anno confrontandoli con quelli dello scorso anno, e che un’indagine indipendente dello Spi Cgil ha smentito su tutta la linea. Alla fine il rapporto è stato accantonato.

I fatti li spiega Graziella Rogolino, segretaria regionale con delega alla Sanità e alle

Politiche sociali dello Spi-Cgil. “La Regione ha conteggiato i decessi avvenuti nelle Rsa nel trimestre gennaio-marzo, spalmando su tre mesi i numeri che sono concentrati in realtà in modo prevalente a marzo. In tutte le Asl della regione il numero dei deceduti sarebbe passato così dal 2471 del 2019 ai 2882 di quest’anno, e tra questi soli 252 casi per Covid 19 dichiarati. Nelle Rsa di Torino si sarebbe passati da 322 a 351 e i casi accertati di coronavirus sarebbero appena 4”.

Dati che erano apparsi subito largamente sottostimati.

Dov’è l’inghippo? “Le statistiche pubblicate dalla Regione sono manipolate. Su questo abbiamo chiesto conferma a specialisti di epidemiologia. Il confronto sul primo trimestre dei morti totali è scorretto perché le morti per Covid sono quasi tutte in marzo, con i primi casi a fine di febbraio. Gennaio e in parte febbraio di quest’anno hanno avuto una bassa mortalità “ordinaria” per la mitezza del clima e dell’influenza stagionale. Quindi la Regione ha fatto una spalmatura. Un imbroglio insomma”.

Del resto come avevamo già scritto, in Piemonte a partire dalla fine di febbraio, era stato registrato un numero anomalo di decessi in molte strutture, e i morti in molti casi erano stati cremati senza che la Regione fosse stata in grado di avviare uno screening per accertare le cause del decesso. “Molti morti, pochi tamponi”, avevamo titolato.

Ma come è riuscito lo Spi Cgil a smentire i dati della Regione? Ha promosso un’indagine sui propri iscritti, in tutta la regione, partendo dalle trattenute sulle pensioni.

Ne è venuto fuori un dato certo parziale ma significativo, che mette a fuoco la tendenza: stando alle stime del sindacato, nel solo mese di marzo i decessi tra iscritti al sindacato, sarebbero cresciuti del 76% rispetto all’anno precedente. Non è illogico pensare che l’andamento dell’intera mortalità sia stato molto simile a questo.

“In Piemonte – calcola Rogolino – nel solo mese di marzo 2019, sono state eliminate per decesso 623 pensioni, con quota destinata allo Spi. Quest’anno la cifra è vicina al doppio: 1102. In provincia di Torino, i decessi sono passati da 265 a 439, con un aumento di 174. Ad Alessandria, il dato è ancora più impressionante: si è passati dai 95 del 2019 a 230 di quest’anno. Il Piemonte galoppa, e il maggior numero di decessi viene dalle Rsa”.

La gravità della situazione sarebbe confermata in realtà dai nuovi screening effettuati  dalla Regione su Rsa e case di riposo, e questa volta i dati sembrano veritieri: sui primi 5mila tamponi, il numero dei contagiati era pari al 70 per cento. Dato poi sceso intorno al 60 con l’allargarsi del numero dei test.

Ma al di là dei dati, quello che accade sul terreno descrive bene lo stato confusionale con cui la Regione si è mossa fin qui.

La task force a cui Cirio aveva assegnato il compito di seguire l’emergenza regionale, è stata rivoluzionata per manifesta inefficienza pochi giorni fa, con la massiccia immissione di esperti, e ora al nuovo presidente, il medico Ferruccio Fazio, spetta il compito di colmare le enormi lacune della gestione precedente.

Fatta di ritardi, di di dispositivi di protezione individuale mai giunti a destinazione o dirottati a favore degli ospedali, di tamponi mai eseguiti anche in presenza di numerosi decessi, di un mancato coordinamento sanitario per la grave situazione in cui versano molte strutture residenziali, abbandonate al loro destino nel mare in tempesta dell’emergenza. E di corrispondenze private, che finiscono sulle pagine dei giornali rivelando un cinismo difficile anche da credere.

Gli anziani nelle Rsa? “Non prendiamoci la responsabilità diretta”, commentava in una mail choc rivolta all’Asl di Torino il 31 marzo scorso, il responsabile scientifico  Roberto Testi dell’Unità di crisi.  Con il vertice di un organismo creato per fronteggiare la crisi sanitaria preoccupato di allontanare da sé la responsabilità di quanto stava avvenendo in centinaia di residenze per anziani.

A Torino ad esempio, la situazione  si è rivelata subito devastante: dopo i casi di Grugliasco, del complesso delle Terrazze a Torino, di Nichelino, di Moncalieri, di Brandizzo (dove alla casa di riposo “Piccola Lourdes” 72 ospiti su 80 e gran parte del personale sono rimasti contagiati), è esploso il caso della Rsa Carlo Alberto dove, stando alle frammentarie notizie disponibili, i morti sono già decine. Si tratta di una Rsa pubblica, data qualche tempo fa in gestione a una cooperativa.

“In realtà – come spiega Lucia Centillo, segretaria Spi Cgil di Torino – è difficilissimo avere il polso della situazione, perché le dirigenze spessissimo si trincerano dietro un silenzio che viene squarciato dalle notizie che filtrano dagli ospiti ai familiari. E sono notizie quasi sempre allarmanti”.

Le notizie che arrivano, grazie al meticoloso lavoro dello Spi di Torino, che si avvale della collaborazione della rete territoriale di tutta la Cgil e dei contatti diretti tra i parenti degli ospiti delle strutture, sono simili a quelle che arrivano da altre Rsa piemontesi: pazienti con febbre alta, e con cure in vari casi non all’altezza della situazione, come denunciano anche i familiari dei pazienti. Di personale falcidiato dai contagi, costretto a turni massacranti pur di assolvere alla sua funzione di assistenza. E come si è visto a proprio rischio e pericolo, perché almeno all’inizio i dispositivi di protezione non c’erano.

Come ad esempio è accaduto “Al Castello” di Alpignano, dove per giorni, nei turni di notte, era rimasta una sola dottoressa per 130 pazienti, perché una parte del personale si era nel frattempo ammalato. Situazione che – assicura il commissario prefettizio – ora sarebbe sotto controllo.

“A questo punto – si chiede Centillo – dobbiamo pensare che gli ospiti che rimangono in struttura non hanno la stessa dignità, e quindi le stesse opportunità di cura di chi va in ospedale o rimane a casa?”.

E intanto, come in altre parti d’Italia, si muovono i magistrati. Accade ad Alessandria dove il procuratore capo ha dato ordine ai carabinieri del comando provinciale dei Nas di indagare a tappeto su tutte le strutture del territorio. E vista la mole delle indagini, è stato costituito un pool di magistrati che indagherà sui casi sospetti.