Pezzullo (Spi-Cgil): «Per salvare gli anziani, l’intero sistema di cura va ripensato»

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“L’emergenza epidemica ha fatto venire alla ribalta un dato difficilmente contestabile: c’è bisogno di un ripensamento profondo non solo delle strutture residenziali ma dell’intero sistema di cura delle persone dai 65 anni in su”. A sostenerlo è Antonella Pezzullo, segretaria nazionale dello Spi con delega alla Sanità, intervenendo nel dibattito sulla riforma, da più parti auspicata, delle residenze per la terza età.
“Una realtà, quella delle residenze per anziani, – dichiara Pezzullo a LiberEtà – molto composita, per certi versi sconosciuta e sostanzialmente non indagata nella sua multiformità. Un calderone al cui interno ci sono cose molto diverse: dalle case famiglia alle residenze sanitarie assistenziali. Queste oggi sono lasciate all’iniziativa delle Regioni che, spesso, si sono mosse in ordine sparso, con risultati diversi da territorio a territorio”.
Un’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità ha valutato che circa il 40 per cento delle morti provocate dal Covid 19 in Italia sono avvenute in queste strutture. In molti casi sono mancati il necessario supporto della medicina del territorio e un autentico collegamento con gli ospedali, con la conseguenze che queste strutture – inadeguate a rispondere a eventi acuti di natura epidemica – sono diventate il luogo di una catastrofe sanitaria.
“Le migliaia di morti che in questi mesi si sono contati nelle RSA e nelle case di riposo rappresentano un problema etico. Le indagini giudiziarie stabiliranno se e dove esse nascondono anche fattispecie penali. Ma, oltre l’indignazione e il cordoglio, occorre un’operazione di verità che ispiri un profondo cambiamento”, afferma Pezzullo.
Per la segretaria dello Spi, nei prossimi mesi sarà necessario mettere a fuoco i nodi da sciogliere e i temi da affrontare, “per promuovere un sistema di interventi integrati che dia risposte convincenti ai bisogni emergenti di una popolazione che invecchia e che ha bisogno di cure adeguate”.
“Che insegnamenti trarre dalla crisi?”, chiediamo. “La risposta attuale ai bisogni di milioni di persone, soprattutto per quanto riguarda la popolazione non autosufficiente, ha mostrato di essere totalmente inadeguata: essa non può essere affidata alle badanti da un lato e alle case di riposo dall’altro. Non a caso il maggior numero di morti si è verificato nelle case private e nelle case di riposo. Hanno fallito sia una domiciliarità affidata nel migliore dei casi alle sole badanti sia una residenzialità priva degli standard assistenziali adeguati.
Abbiamo al contrario bisogno – osserva – di un sistema integrato di interventi che vada dal rafforzamento delle terapie domiciliari alla intera espressione di una residenzialità modulata e adeguata ai bisogni, passando per tutta la gamma degli interventi territoriali che affrontino in modo proattivo il tema incalzante delle cronicità”.
“Il punto vero – sottolinea ancora – è come gestire milioni di persone con più patologie, proprio per questo ritenute fragili, e nei fatti le più colpite dalla furia epidemica, ritardando il momento della non autosufficienza” e “regalando anni di vita autonoma, affinché il bacino del bisogno di ricovero in residenze sia svuotato”.
“Certo – rileva Pezzullo – non è possibile fare del tutto a meno delle strutture residenziali. Ma possiamo evitare che esse diventino ‘discariche’ nelle quali si esiliano ‘vite di scarto’. Per far ciò è necessario che nelle Rsa siano migliorati gli standard assistenziali, intervenendo innanzitutto sulla tipologia di personale e sulle strutture. Coscienti peraltro che le Rsa a oggi rispondono soltanto a una parte minima del problema con 300mila posti letto su una domanda potenziale di due milioni e mezzo di persone non autosufficienti”.
Come dimostrano i dati, in queste strutture è difficile trovare posto e le liste d’attesa sono lunghissime, “perché è difficile trovare altre soluzioni nella rete dei servizi che un sistema di cura adeguato dovrebbe offrire”, evidenzia la sindacalista. Così, decine di migliaia di anziani non autosufficienti precipitano nel limbo delle cosiddette case di riposo e case famiglia, a volte prive della benché minima regolamentazione, di personale qualificato e figure mediche.
“Il sistema della residenzialità, oggi in gran parte nelle mani di privati, non può essere eliminato – ammette -, ma possiamo pretendere che funzioni meglio, sia per i pazienti sia per gli operatori. Tuttavia, se alle spalle non c’è un vero sistema pubblico di presa in carico, con interventi differenziati e graduali tra la domiciliarità e il ricovero, per milioni di famiglie non ci saranno alternative a questi luoghi, e tutti i discorsi risulteranno vani”.