martedì 16 Aprile 2024
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Viaggio in Emilia Romagna alla vigilia del voto

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Viaggio in Emilia Romagna alla vigilia del voto

C’è ancora un’Emilia Romagna che resiste all’odio e al razzismo. Per raccontarla siamo andati a mangiare un boccone alle Cucine popolari in via del Battiferro e abbiamo scoperto perché sono nate le “sardine” che hanno dato una scossa alla campagna elettorale.

di Giorgio Nardinocchi

Via del Battiferro n. 2, alla Bolognina. Sono le 12,30. L’ora giusta per varcare il portone del circolo del Pd ed entrare nelle rinomate Cucine popolari. C’è odore di cose buone in sala. Si aspetta il primo: tagliatelle al ragù in perfetto stile emiliano. È da qui che inizia il nostro viaggio nell’Emilia  Romagna a pochi giorni dal voto regionale del 26 gennaio, una data
che potrebbe fare da spartiacque tra il modello di regione che tutti conosciamo e qualcosa che nessuno ancora conosce, ma che ha il sapore amaro del risentimento, dell’odio, del razzismo, della manipolazione organizzata.

Ci sediamo al tavolo con Roberto Morgantini, 72 anni, padre partigiano, madre staffetta in Val d’Ossola, bolognese dal 1967, da quando ha iniziato il suo sodalizio con la Cgil. È lui l’inventore di questo laboratorio sociale che si chiama Cucine popolari. Un impegno riconosciuto perfino dal presidente Mattarella che l’ha nominato commendatore dell’ordine al merito della Repubblica «per il suo prezioso contributo alla promozione di una società solidale e inclusiva». E difatti quella di via del Battiferro non è una mensa né un locale
per gourmet. Qui ci si siede comodi, si gusta un buon pasto in piatti di ceramica,su tovaglie a quadri, con posate d’acciaio e bicchieri di vetro, e si rimane a conversare tra amici e compagni. E alla fine, quando hai mangiato e bevuto, non ti portano il conto. Se hai i soldi
lasci un pasto sospeso pagato per chi di soldi non ne ha.

Il socialismo delle origini. Tutto inizia quasi cinque anni fa. Il 21 luglio 2015 apre i battenti la prima Cucina popolare, quella dove ci troviamo. Oggi sono tre, e presto se ne aggiungerà una quarta, al Savena, al cui progetto lo Spi intende contribuire con una sostanziosa
donazione. Il progetto di Morgantini è aprirne una in ogni quartiere di Bologna. Il suo sogno richiama certe visioni del socialismo e delle Camere del lavoro delle origini che tutelavano
tutti, il lavoratore e il disoccupato. Era il socialismo dal volto umano, quello
nato ai bordi del Po, e che ha disegnato l’anima riformista dell’Emilia Romagna.

Il vento dell’odio. Prima di partire per Bologna ci siamo documentati, interrogando
un emiliano doc come Maurizio Fabbri. E lui ci ha spiegato che cosa sta accadendo nella regione modello che Salvini vorrebbe conquistare e piazzarci la sua bandiera sovranista.
«Il vento di destra – spiega Fabbri – spira soprattutto dalla provincia. Il contrario
di quel che avvenne quando la spinta al cambiamento partì dal contado. Le brigate partigiane si formarono in pianura e in montagna. Il Pci e il Psi erano forti nelle campagne, tra i mezzadri e i braccianti, e poi nelle grandi fabbriche. Papà Cervi, i suoi sette figli trucidati dai fascisti e la sua cascina rossa nelle campagne di Reggio Emilia sono un simbolo. Oggi invece, come dimostrano i sondaggi, nella provincia soffia il vento di destra,
mentre nelle città batte ancora un cuore rosso. A Bologna, Modena, Parma, Rimini sono bastati gli appelli di pochi giovani per far scendere in piazza migliaia di persone contro l’imbarbarimento della politica».

Al nostro tavolo ci raggiunge Bruno Pizzica. Viene spesso a pranzo qui giacché la sede dello Spi dell’Emilia Romagna, che lui dirige, dista meno di un chilometro. E c’è Giuseppe, un pensionato di 74 anni, che ricorda bene quel giorno del 1989 quando Achille Occhetto venne alla Bolognina ad annunciare la svolta che decretò la fine del Pci e l’inizio di
un’avventura politica dall’esito alquanto incerto e che ha portato alla crisi dei partiti che stiamo vivendo oggi.

Non è un caso che siamo venuti proprio qui a discutere dell’imminente sfida elettorale che potrebbe portare Salvini a invadere l’Emilia rossa (ricordate?«Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor»). «A stare qui, in questa che è la culla della cultura popolare e riformista, sembra incomprensibile quanto sta accadendo nella provincia – dice Bruno –. Si è alzato un vento illogico a partire dalla questione immigrati che rischia di gettare a mare tutto quello che abbiamo costruito in settant’anni di duro lavoro e di amministrazioni riformiste. Certo, errori ne sono stati fatti, ma quello che abbiamo conquistato non ha eguali. Basta vedere l’assistenza agli anziani che oggi è una rivendicazione nazionale: siamo stati i primi a dotarci di un fondo per gestire la non autosufficienza. Vogliamo buttarlo via e dare tutto ai privati, come fa la sanità lombardo-leghista?».

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