martedì 30 Aprile 2024
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Dacia Maraini: vi racconto il mio amico Pier Paolo

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Dacia Maraini: vi racconto il mio amico Pier Paolo

Rivoluzionario nel linguaggio e rivoluzionario nell’esistenza, Pier Paolo Pasolini è stato uno dei più importanti e lucidi intellettuali italiani del Ventesimo secolo. A cento anni dalla sua nascita, abbiamo chiesto alla scrittrice, Dacia Maraini, di raccontarci il “suo” Pasolini

L’ingordigia del reale. Elsa Morante, Sergio Citti, Ninetto Davoli, Laura Betti, Silvana Mauri Ottieri, Alberto Moravia, Dacia Maraini. Sono alcuni tra gli amici con i quali Pier Paolo Pasolini condivideva cene, chiacchierate, riflessioni, affetti, passioni. Ma la sua era una vita regolare, i salotti romani non gli interessavano. Gli interessava invece il lavoro, dalle nove di mattina alle sei di sera. Gli interessava quella che Silvana Mauri Ottieri, definì in un’intervista di qualche anno fa «l’ingordigia del reale».

È forse proprio in questa “fame” che è racchiuso Pier Paolo Pasolini. Cantore del sottoproletariato, dei poveri, dei vinti, ha cercato per tutta la vita l’innocenza di chi conosce la profondità della tragedia ma anche la profondità della vita. Amato e odiato per la radicalità dei suoi giudizi: «La mia è una visione apocalittica. Ma se accanto a essa e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare».

Al grande intellettuale la scrittrice Dacia Maraini è stata legata da un rapporto di profonda amicizia. I suoi ricordi sono raccolti ora in un memoir in uscita a marzo, edito da Neri Pozza, dal titolo Caro Pier Paolo. Un dialogo intimo e sincero fatto di stima, scoperte, esperienze artistiche e cinematografiche, idee e viaggi condivisi con Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia.

Signora Maraini, Pasolini è stato poeta, scrittore, saggista, regista, intellettuale civile. Ma chi è il “suo” Pier Paolo?
«Prima di tutto un amico gentile, mite, lavoratore instancabile e compagno di viaggio insostituibile».

Pasolini ha raccontato Roma, l’Italia tutta, ma anche l’India. Ha descritto gli italiani con acume, lucidità e profondità. In cosa Pasolini è stato diverso dagli altri? Qual era il segreto di questa sua capacità di visione?
«Il segreto risiedeva nella carica emotiva che metteva nelle sue riflessioni. Non stava mai fuori dalle cose, ma dentro la materia viva del mondo e aveva il coraggio di sporcarsi le mani».

 

Come lo immaginerebbe immerso nel nostro tempo?
«Penso che sarebbe fedele a se stesso, sempre innamorato della purezza popolare, nemico della borghesia, polemico nella scrittura, critico severo ma anche innamorato del suo tempo e delle bellezze del creato».

Facendo un gioco di immaginazione, cosa direbbe Pasolini della società italiana se fosse vivo?
«Non lo so. Pasolini era imprevedibile, sempre diverso e inatteso nei suoi giudizi. Ma sono certa che sarebbe molto critico con questo tempo di disgregazione e di volgarità in rete».

E come sarebbe stato accolto oggi dall’opinione pubblica italiana? Avremmo accettato il suo linguaggio dirompente, i suoi messaggi rivoluzionari?
«Oggi probabilmente non susciterebbe il moralismo bigotto dei suoi anni, ma sarebbe sempre visto con un certo sospetto. La sua enorme libertà di pensiero, la sua capacità di liberarsi di ogni strettoia per navigare liberamente nel mondo sarebbero ancora visti come un pericolo».

Lei ha detto che Pier Paolo Pasolini ricercava l’innocenza. Può spiegarci cosa intendeva?
«Era incantato dall’innocenza contadina. Magari violenta, ma pura e sincera. E a lui non piaceva tutto quello che era finto, recitato, formale. Si era molto addolorato della trasformazione del sottoproletariato italiano che aveva vissuto come integro e infantilmente innocente, e che si era corrotto e involgarito».

Qualche mese fa lei ha chiesto la riapertura delle indagini sulla sua morte tragica alla luce delle nuove tecniche scientifiche a disposizione degli investigatori. Ci sono anche ragioni più profonde alla base della sua richiesta?
«La morte di Pier Paolo è ancora un mistero. Sappiamo che non è stato Pino Pelosi, come noi amici abbiamo sempre sostenuto. E come lui stesso ha confessato. Ma non ha detto chi ha compiuto l’omicidio e perché. Sono stati compiuti gravi errori alla sua morte. Appena Pelosi disse di essere stato lui, vennero interrotte le indagini. E questo ha impedito di approfondire le ricerche».

Pasolini è stato definito da molti un profeta. Lo crede anche lei?
«Con la sua sensibilità in anticipo sui tempi, Pasolini era in effetti capace di intuire molte cose. Era profetico, non per una magia misteriosa, ma perché era un attento osservatore dei suoi simili e un acuto percettore dei cambiamenti del suo tempo».

Qual è l’eredità che ci ha lasciato?
«L’esempio di un intellettuale appassionato al suo lavoro, ma anche attento a tutto quello che accadeva nel mondo. Un uomo capace di dire la verità sapendo che avrebbe subìto delle conseguenze sgradevoli. Ma non per questo si scoraggiava».

 

(Articolo tratto dal numero di marzo di LiberEtà)