L’Aquila vuole rinascere

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«Con il terremoto c’è stato un prima e un dopo: in una sola notte tutte le nostre certezze sono crollate e nulla è stato più uguale a prima». Si ferma per un attimo Loretta Del Papa. Quindi aggiunge: «Superati lo shock e il dolore, abbiamo imparato un nuovo modo di fare sindacato. Oggi andiamo incontro alla gente, andiamo a cercarla. Anche se attendiamo ancora l’apertura della nostra sede nel centro storico: solo allora potremo dire che una nuova vita è cominciata».

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La passeggiata su corso Vittorio Emanuele dell’Aquila, cuore della città e allo stesso tempo simbolo di una ricostruzione infinita, è una specie di tour tra i ricordi. Mi accompagnano Loretta Del Papa, segretaria provinciale dello Spi Cgil, ed Egidio Pezzuto, segretario di lega. A sette anni dal sisma delle 3,32 del 6 aprile 2009, i quartieri stretti a corona intorno al centro storico si sono ripopolati, ma gran parte dei palazzi e degli uffici pubblici sono ancora impalcati e vuoti. Dai vicoli si ergono mastodontiche gru semi arrugginite, sotto cui si possono di tanto in tanto scorgere laterizi e materiali di risulta. Rare le persone che incrociamo per strada. «Da qui sarò passato milioni di volte – ricorda Egidio Pezzuto –, per noi era normale fare un salto alla Cgil, dopo l’ufficio. Un volantino, una riunione, quattro chiacchiere di politica. Per le strade, a fine pomeriggio, si riversava un fiume di persone».

Il dopo. Risaliamo dall’ingresso della vecchia sede, lungo una stretta viuzza fiancheggiata da un giardino, fino al “Ju boss”, il boss in dialetto aquilano, per un bicchiere di vino. È stato uno dei primi locali a riaprire alla fine dell’estate 2009, le foto appese all’ingresso ricordano le centinaia di persone che si riversarono qui per l’evento. Il proprietario è un tesserato dello Spi. Siamo ben accolti nel tepore del locale. «Per capire cos’è successo dopo, bisogna capire cos’era l’Aquila prima: una città vitale, ricca di cultura, accogliente, chi veniva da fuori si sentiva a casa. Il centro storico era l’anima pulsante. Dopo il sisma, con la nascita delle new town di Berlusconi, costruite nel nulla, a pagare il prezzo più alto sono stati soprattutto gli anziani che non hanno più vita sociale. Molti non ce l’hanno fatta. Il terremoto ha scosso la terra, ma anche le coscienze e la convivenza civile», spiega Loretta Del Papa.

Un nuovo modo di fare sindacato. «Quella notte del 6 aprile ci trovammo d’improvviso senza organizzazione in una città di settantamila sfollati. I primi tempi furono allucinanti, molti furono mandati negli alberghi sulla costa, altri nelle tendopoli. Tutti i punti di riferimento erano saltati. Allora scattò una straordinaria rete di solidarietà, con tanti compagni dello Spi provenienti da ogni parte d’Italia che vennero a darci una mano. Capimmo a quel punto che il modello classico di fare sindacato non era più realizzabile. La Cgil e le sue categorie ci misero a diposizione dei camper per girare le tendopoli e noi stessi, insieme all’Auser, gestimmo la tendopoli di Murata Gigotti attrezzata dalla Cgil nazionale. Fu quello il momento più duro, ma trovammo la forza in noi per imprimere un cambio di passo».

Voglia di ricominciare. «Facciamo la strada a ritroso verso la periferia. La casa dello studente – dove persero la vita otto universitari – è ancora un cratere, monito alle ruberie del pre-terremoto. Le facce dei caduti, sbiadite dalle intemperie, campeggiano sulla recinzione che cinge gli edifici semidistrutti. I fuori sede pagarono un tributo di sangue altissimo quella notte. Oggi la Cgil ha una sua sede provvisoria a Campo di Pile, zona sorta quasi interamente dopo il sisma, a poca distanza dalla new town di Coppito. Il sindacato ha riorganizzato tutte le sue attività, svolte ogni giorno con l’ausilio dell’Auser accanto ai pensionati e agli anziani dell’Aquila, privilegiando l’aggregazione, lo stare insieme. Si porta il sindacato tra la gente. «L’Aquila oggi ha bisogno di sentirsi comunità».