Le nuove frontiere della medicina

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le nuove frontiere della medicina

Le nuove tecnologie aprono prospettive straordinarie per le cure sanitarie. Fin dove si potranno spingere gli scienziati? Ne parliamo con Amedeo Cesta, capo ricerca sull’intelligenza artificiale presso il Cnr.

Pubblichiamo qui un estratto dell’intervista che potete leggere per intero sul nuovo numero di LiberEtà. Potete abbonarvi a soli 12 euro l’anno! 

Il robot badante che assiste gli anziani, l’intelligenza artificiale che permette di diagnosticare l’Alzheimer dieci anni prima che ne compaiano i sintomi, ambienti domestici integrati che rilevano anomalie nel comportamento di chi vi abita e ne registrano i valori biomedici. Negli ultimi anni la tecnologia dedicata alla diagnosi e alla cura degli anziani, dei disabili e dei malati cronici ha fatto enormi passi avanti migliorando non solo la qualità dell’assistenza, ma anche la qualità della vita dei pazienti e di coloro, familiari e assistenti, chiamati a occuparsene. Ma cosa c’è dietro agli ultimi ritrovati della tecnologia? Anni e anni di lavoro, di ricerca, di sperimentazione e progetti che non sempre vanno a buon fine. Ne parliamo con Amedeo Cesta, ricercatore in intelligenza artificiale e capogruppo di ricerca presso l’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr.

Professor Cesta di cosa si occupa il vostro gruppo di lavoro al Cnr?
«Ci occupiamo di intelligenza artificiale in molti campi: dai sistemi di software per gli anziani alla robotica industriale. Mi sono sempre interessato dell’interazione intelligente persone-computer. Per un periodo l’ho fatto sviluppando strumenti per le agenzie spaziali, da una ventina di anni mi dedico alle applicazioni più “sociali” della tecnologia».

È nato così il suo primo progetto di robotica per gli anziani?
«Si chiamava “Robo Care”. Ma erano i primi anni Duemila e all’epoca non c’era ancora una grossa spinta verso la tecnologia per l’assistenza. Il robot era esteticamente molto brutto e l’impatto sulle persone non era dei migliori. Però da lì ha avuto inizio questo filone di ricerca che abbiamo ulteriormente sviluppato con “GiraffPlus”. Un progetto finanziato dalla Commissione europea che è stato sperimentato nel 2014 a casa di sei anziani (due italiani, due svedesi e due spagnoli) con ottimi riscontri».

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